Make in India, si può fare

A fronte del rallentamento della crescita dei Bric, compresa la Cina, l’India è l’unico dei 5 che continua a crescere. Dopo una fase di rallentamento, i numeri tornano a crescere. Effetto Modi e primi risultati di Make in India. Questo è il primo di una serie di articoli che cerca di spiegare il fenomeno indiano

L’India è oggigiorno, fra le grandi economie, quella a più rapida crescita. I dati provenienti da Il Sole 24 Ore (G. Di Donfrancesco, L’India piace agli investitori esteri, 14 Ottobre 2015) testimoniano come il 2015 segnerà l’aumento del Pil attorno al 7,5% rispetto a quello dello scorso anno, il quale era cresciuto ai medesimi tassi. L’economia indiana è quindi tornata a correre dopo un triennio, fra il 2011 e il 2013, caratterizzato da un rallentamento della stessa. Rallentamento causato da quattro fattori: il primo è il cronico deficit della bilancia dei pagamenti a causa soprattutto della dipendenza petrolifera indiana; il secondo fattore è dovuto all’inflazione; il terzo dalla riduzione dei consumi della popolazione e il quarto dal taglio della spesa pubblica.

Si è detto che l’economi indiana è ritornata a crescere a ritmi importanti. Ebbene questo è da imputarsi alla risoluzione, parziale o totale, dei predetti fattori. Il deficit delle partite correnti, grazie alla congiuntura internazionale sul prezzo delle comodities, è migliorato. Ciò ha permesso all’inflazione di diminuire al di sotto del 10%; inoltre l’obiettivo del controllo della stessa da parte della Rbi a partire dal 2016 pone fiducia sul futuro andamento dei prezzi. La crescita economica, unita al controllo dell’inflazione e alla relativa stabilità della rupia, la quale ha risentito meno delle altre valute emergenti alla crisi cinese, hanno permesso una continua riduzione dei tassi d’interesse. Riduzione di 125 punti base rispetto a Gennaio 2015, con ovvi riflessi sul costo del denaro per gli investimenti effettuabili dalle imprese.

Questa situazione, unita all’ulteriore liberalizzazione dell’economia voluta con Make in India, ha posto le basi per una ripresa del flusso degli investimenti esteri. Nei primi sei mesi del 2015 l’India ha attratto 31 miliardi di dollari di investimenti diretti, superando la Cina e gli Stati Uniti e incamerando in metà anno quanto “raccolto” nell’intero 2014. Tale trend è anche dovuto all’attuale stabilità politica indiana: era dal 1989 che al Governo non vi era un partito con la maggioranza dei seggi al Parlamento. Ovviamente ciò si traduce in maggiori possibilità di attuare quelle riforme economiche e sociale di cui l’India necessita.

In questa panoramica sull’India non può non mancare la componente socioculturale, importante tratto distintivo del paese asiatico. 22 lingue riconosciute, più un altro centinaio minori, di cui l’Hindi è la lingua ufficiale; quattro gruppi etnici; sei religioni da più di un milione di fedeli e molte altre minori; sono i tratti che testimoniano l’estrema diversità sociale e culturale indiana. Ciò ovviamente a riflessi sia per le istituzione che per le imprese che vivono nell’arena competitiva indiana.

Parlando di cultura ovviamente non si può non spendere qualche parola su una delle più grandi caratteristiche della stessa, ovvero il sistema delle caste: esistono quattro classi (brāhmaṇa, kṣatriya, vaiśya, śūdra), le quali si articolano in migliaia di divisioni interne, originatesi sia per motivi di regione territoriale, sia per motivi di professione. Nonostante la Costituzione abolisca le caste, esse sono ancora fortemente presenti nelle aree rurali del paese, mentre nei contesti urbani appaiono meno visibili, più flessibili ma comunque esistenti. Ovviamente ciò si traduce negativamente in termini di equità e mobilità sociale; mentre le imprese, nella gestione e organizzazione del proprio personale, non devono e non possono trascurare questo importante aspetto.

Ultimo tema per un inquadramento generale dell’India riguarda la componente demografica. Come noto è il secondo paese più popoloso al mondo, con una proiezione di divenirne il primo tra il 2020 e il 2030. Meno nota è la presenza di una classe media da trecento milioni di persone che genereranno più di sette mila miliardi di dollari di consumi sempre entro il 2030 (http://www.ibef.org/industry/indian-consumer-market.aspx), con chiari risvolti in termini di attrattività del mercato domestico indiano. Mercato che può essere diviso in due grandi parti: quello urbano, il quale racchiude il 40% della popolazione; e quello rurale. In quest’ultimo si colloca la fascia più povera della popolazione (l’India è il paese con la più alta concentrazione di povertà al mondo).

Da un articolo trattato da The Economist  si evidenzia non solo la composizione demografica per fasce d’età e divisa per genere, ma anche l’evoluzione futura. Difatti si evidenziano due aspetti: il primo riguarda il maggior numero di maschi nei primissimi anni d’età, riflesso della cultura e della visone maschilista indiana; il secondo aspetto riguarda il futuro invecchiamento della popolazione e il contestuale aumento dell’aspettativa di vita.